La parte storica della città di Trento è delimitata da mura duecentesche volute dal Principe Vescovo Federico Vanga (1207-1218), con lo scopo di dare una maggiore sicurezza all’urbe. Tracce di queste mura sono ancora visibili in alcuni punti della città e, tra queste, la testimonianza più evidente la troviamo in piazza Fiera.

Le mura duecentesche, che per Trento rappresentavano già la terza cinta muraria, si erano rese necessarie per inglobare i nuovi rioni che si erano nel frattempo sviluppati esternamente all’antica cinta muraria, come ad esempio,il borgo di Sorbano, intorno alla chiesa di San Pietro, e il borgo nuovo.
Come si diceva, la prima cinta muraria risale al III secolo d.C e custodiva la Tridentum romana. Durante il medioevo essa venne ampliata per incorporare l’arealimitrofa alla Basilica Vigiliana.
Le mura duecentesche garantivano l’accesso alla città, attraverso quattro porte principali: porta S. Martino, porta dell’Aquila, porta S. Croce e porta S.Lorenzo. Oltre a queste porte più blasonate, c’erano anche diversi accessi secondari.

Porta di Santa Margherita era parte della cinta muraria vanghiana.
La sua struttura architettonica è molto originale in quanto a doppio fornice: uno ad arco a tutto sesto e l’altro ad ogiva. Sopra la porta si erge un torrione scudato con in cima merli a coda di rondine.
La porta appare ora molto bassa per il suo parziale interramento causato dalle continue alluvioni del fiume Adige.
Uscendo da questa porta i trentini si recavano nelle aree agricole che si sviluppavano fuori dalle mura della città e a ridosso del fiume.
Analogamente, porta dell’Aquila, si presenta a doppio fornice e si affaccia su piazza Venezia, con un arco gotico, mentre su via dei ventuno si può notare un arco a tutto sesto.
Anche questa porta, originariamente, era sormontata da una torre scudata della quale se ne può leggere la traccia sulla muratura.


Delle altre due porte, porta S. Croce e porta S. Lorenzo, si è a conoscenza dall’iconografia storica.
Risale alla prima metà dell’800 la demolizione della cinta duecentesca e l’annessione della stessa nelle nuove costruzioni che, nel frattempo, erano sorte nel territorio circostante.
Un tempo le mura servivano per difendersi dal nemico e le porte per permettere il transito degli abitanti e dei visitatori. Un gioco di difesa e di apertura che Italo Calvino sembra cogliere bene in Città invisibili, quando dice che «le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure».
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