Cosa vedere a Trento. Il Palazzo delle Poste di Trento: dal Rinascimento al Futurismo
All’angolo tra via Calepina e via Roccabruna, nel centro storico di Trento, si trova un palazzo che si distingue da tutti gli altri per un’architettura un po’ “bizzarra”.
Il Palazzo delle Poste
Si tratta del Palazzo delle Poste, progettato, nel 1929, in stile futurista dal famoso architetto fiorentino Angiolo Mazzoni, sull’area precedentemente occupata dal Palazzo a Prato.
L’architetto Mazzoni, nella realizzazione del nuovo palazzo, riuscì a mantenere alcune parti dell’edificio cinquecentesco, come, ad esempio, il portale, alcune arcate del portico del cortile e una trifora con capitelli ionici.

Il periodo d’oro del Palazzo a Prato
Il precedente Palazzo a Prato era stato fatto costruire da Giroldo a Prato, appartenente all’omonima famiglia nobiliare trentina che si era affermata in città nel ‘500. La famiglia a Prato contribuì allo sviluppo della città sia con attività commerciali ed estrattive sia con donazioni benefiche. Durante il Concilio di Trento, la famiglia a Prato ospitò nel proprio Palazzo numerose personalità come legati pontifici, rappresentanti del papa e le prime congregazioni generali.
Da residenza nobiliare a zuccherificio
Nel 1830 divenne uno zuccherificio che però fu quasi completamente distrutto in un incendio nel 1845.
Dopo l’incendio il palazzo conobbe una terza vita come palazzo delle poste asburgiche, in stile impero, fino a diventare, poi, e lo è tutt’oggi, il palazzo delle poste italiane.

Il palazzo Futurista
Una parte dell’edificio che salta all’occhio è sicuramente la struttura a lesene diamantate in calcare bianco di Pila che conferisce all’edificio l’idea di movimento, tipico dello stile futurista. Altro elemento tipico del futurismo è l’esasperato cromatismo che l’architetto asseconda trattando l’intera facciata dell’edificio con intonaco azzurro cobalto.

All’interno si trovavano opere dei pittori futuristi del tempo come Fortunato Depero, che arricchì gli ambienti con vetrate e affreschi purtroppo in gran parte perduti, Enrico Prampolini, Luigi Bonazza, Gino Pancheri e Stefano Zuech.
Esternamente, sotto la loggia prospiciente via Santa Trinità, Luigi Bonazza affrescò una scena che intendeva rievocare le processioni conciliari.

Nel 1934 lo scultore trentino Stefano Zuech, già noto per aver scolpito Maria Dolens, realizzò, in una nicchia esterna del Palazzo, la statua raffigurante San Cristoforo.

Il Palazzo a Prato ha dunque vissuto ben tre epoche d’oro per arrivare ai giorni nostri con tutto il peso dei secoli passati.
L’Associazione culturale H2o+ fa rivivere una parte del Palazzo con una esposizione d’arte e una serie di workshop; tutti i dettagli sono consultabili sul sito dell’Associazione. E bello pensare che questa sia solo la prima delle modalità che faranno ritrovare la gloria passata di questo importante edificio del centro città.
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